[...] La pièce nasce da una felice contaminazione fra musica, prosa ed astronomia, realizzata grazie all’impegno creativo ed inventivo di un trio del tutto eccezionale, formato dal musicista Glauco Venier, dall’attore Massimo Somaglino e dall’astronomo Ferdinando Patat.

Tutto parte da un viaggio di Ferdinando nel deserto di Atacama e da una lettera scritta ai suoi due compagni nell’avventura dell’immaginazione. Sulle quinte scorrono, proiettate, immagini di galassie, tramonti, universi apparentemente vicini e tangibili.
Sul palco un enorme pendolo di Foucault a scandire il tempo di un viaggio verso la conoscenza attraverso pile di libri sparsi qua e là per terra. Simboleggiano il pensiero di Galileo, Shakespeare, Bach, Newton, Prokofiev, Pasolini e di molti altri e ognuno di questi scritti, a suo modo, sembra contenere la risposta all’eterno dilemma sull’origine dell’uomo. Scienza, musica e letteratura cercano di raccontare la propria verità. Ma fino a che punto ci riescono?
Ecco che allora sembra essere l’innocenza una prima risposta, rappresentata attraverso un nugolo di bambini che, nel finale, irrompono sul palco raccontando favole e facendo crollare quella pila di libri costruita man mano durante lo spettacolo e che sembra aver faticosamente prodotto solo illusorie certezze. Ma, a sorpresa, dopo i numerosi applausi, dal palco giunge una seconda occasione di riflessione, quando Somaglino, accompagnato al piano da Venier, legge il canto XXXIII del Paradiso di Dante. “A l’alta fantasia qui mancò possa” scrive il sommo poeta. E questa, forse, è già una risposta.
Stefano Zucchini

